L’epilogo positivo della vertenza Ilva è stato possibile grazie, anche, alla responsabilità delle organizzazioni sindacali, ma per anni la questione del più grande siderurgico d’Europa
si è presentata come un grande cartello rivolto al mondo intero che diceva: se volete investire state alla larga dall’Italia. Viviamo in un paradosso: siamo un Paese industriale che non vuole e non sa parlare di industria. Ciò non deve meravigliare: l’avversione all’industria affonda le radici nell’avversione all’economia di mercato e alla società aperta, così diffusa nei media e nella pubblicistica.
A sua volta, l’avversione all’economia di mercato si configura come una forma di resistenza all’incedere della modernità e dell’innovazione tecnologica.
Gli investimenti diretti dall’estero (Ide passivi) restano, in Italia, comparativamente bassi rispetto ai nostri partner europei, perché l’habitat che offriamo alle imprese è inospitale: burocrazia inefficiente, giustizia lenta, infrastrutture scadenti, costo dell’energia troppo alto, diffidenza verso l’innovazione, e si potrebbe continuare ancora parecchio.