Privati ancora lontani dal mettere le mani nei porti italiani, i cui responsabili ancora dipendono da scelte governative, con piena condivisione degli enti regionali e comunali interessati

(non delle province, abolite un paio di anni fa).
L’Italia ricava dal comparto dell’economia marittima e portuale il 2,7% del PIL facendo lavorare mezzo milione di persone, questi numeri messi in luce dall’assemblea, di qui l’importanza del settore. La strategia è quindi la crescita, da qui le istanze al governo di neo istituzione e al ministro Danilo Toninelli. Il ministero delle Infrastrutture e Trasporti della precedente legislatura, guidato da Delrio, con la legge di riforma portuale (agosto 2016) è stato trasversalmente riconosciuto come uno dei più produttivi degli ultimi decenni, per aver definito la nuova struttura gestionale e amministrativa della portualità, integrata alla visione di una pianificazione logistica nazionale. Molte cose fatte dal precedente dicastero, alcune da portare a termine come le Authority ancora da allineare: Gioia Tauro e Messina.
Un processo iniziato che dovrà trovare continuità, nella relazione del presidente di Angopi, ponendo  in primo piano la semplificazione e la velocizzazione delle procedure amministrative che interessano le imprese operanti nei porti. Lo sviluppo di un sistema digitalizzato dei porti, la definizione di un modello unico di Port Community System nell’ambito della piattaforma logistica nazionale, lo sportello unico doganale, lo sportello unico amministrativo, il port management information system.