Ieri pomeriggio, nella tradizionale sede della Borsa genovese, si è tenuta l’altrettanto tradizionale presentazione dei risultati dell’indagine condotta dall’istituto PwC,
in collaborazione con la nostra facoltà di Economia, sullo stato dell’arte del sistema d’impresa genovese.
Al di là dell’insopportabile overdose di “eccellenze” praticata da documento e relatori (un tormentone linguistico, invadente quanto spropositato, che fa il paro con l’aggettivo “importante” nel lessico di calciatori e giornalisti sportivi), l’ennesima operazione consolatoria che non tiene in alcun conto le durissime repliche della realtà. Mentre, nonostante una certa flessione, restano al top i settori a scarsissimo impatto occupazionale definiti, nell’anglo-managerialese di rito, “oil&energy” (le commodities di carbone, gas e petrolio: roba tradizionale, mica l’invenzione di fantascientifiche fonti energetiche pulite e inesauribili), sembrano assolutamente rituali gli annunci subliminali di mirabilie e sfracelli in materia delle “due I” dell’eccellenza presunta: internazionalizzazione&innovazione. Per una semplice ragione: se così non fosse, certo non vedremmo avanzare a larghe falcate sulle nostre teste l’inquietante fenomeno di una de-industrializzazione devastante. Come già ripetuto in questo sito sino allo sfinimento.
Nel frattempo la localizzazione di Ansaldo Energia è sotto minaccia e la nostra prima impresa – il porto – rivela il profilo sempre più asfittico di uno scalo meramente regionale. E per questa volta risparmiamo la rituale geremiade a rosario sugli innumerevoli punti di crisi industriali del territorio.
Non a caso, nelle classifiche presentate nel meeting della Borsa risultano scalare posizioni le due squadre di calcio genovesi. Non certo imprese hi-tech orientate al mercato. E lo si dice con profonda amarezza. Ma con una altrettanto ferma convinzione: sarebbe ora di smetterla con queste operazioni consolatorie che vorrebbero rincuorare una società declinante e – invece – hanno l’unico risultato di drogare la percezione dei problemi; il relativo dibattito pubblico.
Il trionfalismo di maniera non funziona, anche perché i destinatari del messaggio, stancamente reiterato, sono orientati a interpretarlo come pura e semplice “presa per i fondelli”. E reagire di conseguenza. Dal toccamento al vaffa.
In sintesi, l’insegnamento che possiamo ricavare dagli esiti del referendum sul governo di domenica 4 dicembre.