La notizia è ufficiale: il 30 novembre prossimo una delegazione cittadina guidata dal sindaco di Genova Marco Doria si recherà nella Milano data “in pieno Rinascimento”,

allo scopo di trovare finanziatori per le due operazioni epocali del Parco a Erzelli e del Blue Print tra la darsena e la Foce. Ci auguriamo che nessun membro di tale delegazione precipiti nei buchi di uno dei mille cantieri meneghini, aperti per opere urbane incompiute e ora abbandonati (in attesa degli effetti rinascimentali annunciati?). Mentre la città della Madonnina attende ancora di conoscere i conti “veri” dello scorso Expo sull’alimentazione, che – come ormai sappiamo – ha alimentato robuste mangiatoie illecite/illegali e negli spazi vuoti dell’area anch’essa abbandonata si attende l’arrivo dell’illusionismo salvifico made in Morego: l’insediamento dell’Istituto Italiano di Tecnologie avversato all’unisono dall’intera comunità scientifica, locale e nazionale.
L’augurio è che l’operazione tardo novembrina non abbia gli esiti fantozziani di un certo dicembre 2013. Ci riferiamo alla trasferta nell’ex Unione Sovietica per piazzare a prezzi di realizzo il patrimonio edilizio di A.R.T.E. (il contenitore in cui sono state parcheggiate le proprietà immobiliari di Regione Liguria). Viaggetto curato dall’allora presidente di Liguria International Franco Aprile (nel ruolo di tour operator dell’allora presidente di Regione Liguria Claudio Burlando, capo delegazione), rivelatasi un flop clamoroso. E costoso. Difatti gli emuli di Totò e Nino Taranto impegnati a vendere Fontana di Trevi a un turista credulone (nel film “Totò truffa 62”, con la regia di Camillo Mastrocinque), non riuscirono a rifilare un solo immobile e se ne tornarono a casa con le pive nel sacco. Peggio, non avendo risolto il vero problema all’origine del tour moscovita: valorizzare una serie di poste parcheggiate in A.R.T.E a valutazioni gonfiate per favorire l’estetica contabile dell’Ente Regione.
C’è il sospetto che ancora una volta la trasferta in programma sia motivata dalla necessità di rimediare a un fallimento. Nel caso – di certo – l’idea strombazzata di acquisire la provvista di denaro necessaria alle opere attraverso il project financing. Quella finanza di progetto che doveva far decollare anni fa il tunnel sostitutivo della Sopraelevata e che non incassò un becco di euro.
Il problema è che continuiamo a parlare di marketing territoriale e siamo rimasti ai banchetti della Fiera di Sant’Agata.
Niente a che vedere con le operazioni realizzate da città con alta capacità di “vendersi” (si passi la brutta espressione) proponendo/promuovendo un’idea di sviluppo civico (la cosiddetta “visione”). Come insegano i casi di scuola da Minneapolis a Londra, operazioni sostenute da indicazioni convincenti sulle possibilità di sviluppo connesse all’offerta: modello di utilizzazione del territorio, progettazione e realizzazione di servizi, aree di crescita, identità percepita a livello interno ed esterno del territorio, ecc.
Perché il marketing territoriale è una tecnica messa a punto da decenni e con precise regole, non certo le operazioni folcloristiche (alla Totò?) che afferiscono a ben altro tipo di azione: la svendita territoriale.