La notizia è di quelle che non sai se ridere o disperare: pare che un topolino, rosicchiando i cavi elettrici, abbia causato un incendio nel Palasport di Fiera del Mare.
Ennesima conferma dello stato di abbandono di quell’area preziosa, per posizione e passati investimenti strutturali.
Sta di fatto che, proprio grazie al piccolo roditore, quest’anno salta definitivamente la possibilità di ospitare il tradizionale Superbowl di Supercross, che gli organizzatori ormai prevedono di trasferire in Olanda. Scelta ovvia, vista l’inagibilità di un padiglione che in passato ospitò grandi manifestazioni, dal basket all’atletica leggera indoor. Oggi icona di un degrado coniugato con l’insipienza; l’incoscienza di chi lascia marcire un po’ tutto. Senza nessuna logica né – tantomeno – alcun disegno. Puro fatalismo?
C’è da essere esterrefatti, davanti all’ennesima riedizione in salsa al basilico della favoletta di Fedro del cane che lascia cadere il pezzo di carne che tiene nelle fauci per inseguirne l’immagine riflessa nell’acqua: invece di ridare un senso economico ai quartieri di piazzale Kennedy, si inseguono i vaghi quanto fantasmagorici miraggi lasciati intravvedere da un progetto onirico, denominato Blue Print nell’anglo-consulenzialese del bravo comunicatore.
Il motivo della scelta è comprensibile, non meno che sconfortante: gestire una ristrutturazione e avviare una rifondazione imprenditorial-manageriale presentano maggiori difficoltà, comportano crescenti rischi di mancare l’obiettivo e consentono minori rulli di grancassa dello squadernare l’ennesimo libro dei sogni. Finché si riesce a tenere in piedi la finzione. In questo momento epocale che qualcuno ormai denomina apertamente della “post-verità” (un modo asettico per dire che i governanti cercano di sfuggire le proprie responsabilità raccontando un sacco di balle).
Intanto al danno si aggiunge la beffa. Visto che continua a scatenarsi il dibattito sul che fare dell’area, nell’indifferenza totale ai problemi impellenti di implosione che l’affliggono in modo palese. Ovviamente tematica (sulle nuvole) che vede al lavoro i giuristi, intenti a definire il migliore accrocco societario per la gestione della prossima fiera delle barche. Da tenersi ovviamente tra le macerie presenti e future, in assenza di manutenzione. E in contraddizione con gli sbaraccamenti previsti dalla cosiddetta “idea di Renzo Piano” (molto apprezzata da chi prospetta il finanziamento dell’opera da parte dell’investimento privato, da ingolosire con la promessa di via libera alla costruzione di abitazioni abbinate a posto barca sotto corso Aurelio Saffi).
In controtendenza è arrivata la proposta di Amico & Co. di riconvertire parte dell’area in un maxi parco per la riparazione degli yacht.
Il padiglione confacente a tale attività è il cosiddetto “Jean Nouvel”, dall’architetto francese che legò il proprio nome a tale realizzazione finita nel mirino della magistratura; al tempo di certi trionfalismi di cui bisognerebbe chiedere conto al sindaco di allora, molto impegnato sul fronte della post-verità (quel Giuseppe Pericu che ancora gira per Genova con il petto in fuori del Padre della Patria).
In questa ridda di non disinteressati illusionismi si potrebbe dire che l’unico elemento di realtà lo si potrebbe riscontrare nella definizione odierna del padiglione “B” (appunto il Nouvel, detto anche “blu”) da parte della stampa cittadina: «un moloch mangia-soldi nel centro del nulla».