“Il lavoro bene comune”, propugna nel suo discorso di investitura a segretario regionale della UIL Mario Ghini. Apprezzabile affermazione, in una regione dove gli ultra-sessantenni

sono molti di più dei quindicenni, avendo raggiunto il trenta per cento dell’intera popolazione ligure. E dove le iniziative che creano nuova (buona) impresa e nuovo (buon) lavoro latitano.
Comunque sia, è certamente salutare che il sindacato faccia il proprio mestiere, ponendo con forza all’ordine del giorno il problema occupazionale. Purché tutto questo sforzo comunicativo non si riduca, come tante volte si è potuto constatare in passato, a semplici esternazioni da convegno.
Sicché, per uscire dalla tragica impasse, è necessario che la riflessione prenda di petto la questione, attivando politiche pubbliche per la ripresa dello sviluppo; non continuando a sfornare libri dei sogni ormai tragicamente ingialliti. Dunque, rispondendo alle domande obbligate del “cosa” e del “come”. In consulenza si diceva “la missione” e “la visione”.
Cosa vogliamo realizzare, che sia coerente con le risorse e le volontà a disposizione.
Come pensiamo di metterlo realisticamente in piedi.
Gli economisti di territorio parlano al riguardo di “specializzazioni competitive”.
Nei mesi scorsi è stata attivata in ambienti camerali una discussione sul tema, da cui sono emerse indicazioni sorprendenti quanto stimolanti. Ad esempio quella di virare a punto di forza le condizioni strutturali della nostra società locale. Anche di debolezza. In primo luogo l’invecchiamento della popolazione, che richiede soluzioni tecnologiche e organizzative che potrebbero diventare incubatore di nuova impresa. Dal campo del badante antropomorfo (settore merceologico in cui già sono all’opera colossi come Toyota, Honda o Panasonic) ai programmi di formazione mirata agli anziani, per rendere sempre più indipendente la Terza Età.
Fermo restando la rivitalizzazione dell’esistente. Dato che il nostro tessuto manifatturiero ha bisogno di irrorazioni innovative un po’ più concrete delle campagne di immagine finalizzate a stupire; la portualità ligure non allarga da tempo il proprio bacino di clientela (e con i trafori svizzeri rischia ulteriori riduzioni di quote) mentre necessita qualcosa di ben più strutturale/strategico degli accentramenti di organigramma; la riscoperta del turismo urbano richiede politiche che inventino attrattività, uscendo dalle eterne logiche da rendita di posizione.
E così via.

Qualche mese fa il segretario della Camera del Lavoro Ivano Bosco aveva lanciato l’idea (malamente etichettata dai media come ”Stati Generali”) di un momento progettuale che animasse tutte le forze vive a disposizione.
Di tale provocazione positiva ad oggi non sappiamo più nulla.
Il concerto delle forze del lavoro organizzato non potrebbero riprenderla, come chiamata a raccolta del territorio per l’uscita dalla crisi? Aggregando consenso attorno a politiche condivise.