Per anni, dalle colonne del XIX, Giorgio Carozzi è stato il cronista principe della portualità ligure. Ora, con l’autorevolezza che gli è riconosciuta, sul suo blog Pilotina

continua a mettere nero su bianco verità scomode (ma non per Liguriaeconomy).
La prima è che i trafori svizzeri del Gottardo e del Lötschberg non aprono meravigliosi varchi per la portualità mediterranea; e ligure in particolare. A dispetto dei pifferai del “viviamo nel migliore dei mondi possibili”, le nuove rotte si stanno trasformando in un formidabile dirottatore di traffici dalla Padania verso Rotterdam.
Così, mentre «i concorrenti investono su infrastrutture, marketing e agevolazioni di ogni tipo offerte alle multinazionali dei container, l’Italia scommette sugli intrecci politici, i legami famigliari, le alleanze lobbistiche. Nel segno sempre più accentuato del centralismo e della burocratizzazione che producono immobilismo».
Ossia, la distribuzione borbonica di cariche pubbliche nei porti, la riforma delle catene di comando nelle Authority. Sicché la risposta alla sfida competitiva si riduce alle nuove alchimie tradotte nella verticalizzazione del potere.
A detta di Carozzi – infatti – «la nuova legge attribuisce al presidente un potere apparentemente assoluto, annullato poi dalle norme esecutive: anche per comperare una penna dovrà chiedere il permesso a Roma. Scelte cosmetiche spacciate per epocali. Burocrati distillati e distribuiti con certosina meticolosità. Il piano della portualità e della logistica evaporato insieme a tutti gli altri cantieri aperti, dall’autonomia finanziaria e la programmazione degli investimenti alla precarietà del lavoro portuale. E sullo sfondo, in un cono d’ombra, restano tutti i problemi che inchiodano Genova. La privatizzazione del Cristoforo Colombo, la gronda, il Terzo valico, il raddoppio della linea per Ventimiglia. Tutte opere potenzialmente proiettate a produrre traffico e a restituire centralità a Genova, all’interno di una pianificazione che punta su forti intese con operatori della logistica e delle infrastrutture. Il centralismo contenuto nella riforma di Del Rio equivale a frenare ogni sfida e anche a condizionare un’imminente campagna amministrativa già appesantita dal riaffiorare delle strategie del “no” a una visione di sviluppo e di futuro».