I tre consoli si sono dati appuntamento, in rappresentanza delle rispettive compagnie: Antonio Benvenuti della CULMV, Tirreno Bianchi della Pietro Chiesa e Alberto Panigo 

della Rebagliati di Savona. Tema dell’incontro, approfondire un’ipotesi di accorpamento tra le storiche organizzazioni della nostra portualità; che – tra l’altro – metterebbe in sicurezza quella dei “carbonai”, i cui soci sono da tempo in mobilità per l’esaurimento della loro ragione sociale: quel carbone che costituiva la prima voce tra le merci manipolate nello scalo genovese tra l’Ottocento e il Novecento.
A quei tempi i cosiddetti “uomini neri” (in quanto ricoperti dalla fuliggine del materiale trattato) costituivano il nerbo della classe operaia ligure. Nel censimento del 1900 risultavano essere 3.500, divisi in quattro categorie: facchini, pesatori-ricevitori, scaricatori, caricatori o coffinanti (da “coffe”, le ceste con cui il materiale trasbordato veniva fatto circolare tra navi e chiatte). Soprattutto, si trattava di un corpo sociale che praticava ben precise concezioni del lavoro: mentre nelle prime fabbriche gli operai perseguivano la difesa della propria dignità, sulle banchine i camalli promuovevano la propria responsabilità; ossia la gestione diretta dei tempi e dei compiti attraverso l’autogoverno delle “chiamate” al lavoro.
Un diritto conquistato con storiche lotte, in cui l’associazionismo proletario diventava decisivo: tra il 5 e il 6 gennaio un’assemblea generale costituiva la Camera del Lavoro genovese. Presiedeva la riunione Pietro Chiesa, il verniciatore di carrozze ferroviarie che nel 1900 venne eletto primo deputato operaio del Parlamento italiano, nelle fila del Partito Socialista.
Entrando per la prima volta a Montecitorio fu salutato da Filippo Turati, alzatosi in piedi, con le famose parole “Signori, entra il Lavoro!”. E il lavoro portuale sapeva essere davvero combattivo, tanto da far cadere persino un governo nazionale (dicastero Saracco) quando questo tentò con un colpo di mano di far chiudere, con la Camera del Lavoro, il loro diritto di rappresentarsi. Quei carbuné che dopo la parentesi fascista ricostituirono la loro compagnia intitolandola proprio alla memoria del loro grande rappresentante, Pietro Chiesa.
Una memoria storica che non deve essere smarrita. Insieme al ricordo di un mutualismo generoso, che spinse i carbonai ad aprire il libero accesso alla loro mensa e all’infermeria a tutti i poveri di Sampierdarena. Quegli stessi che nel 1903 furono alla testa nelle collette che consentirono la fondazione del primo quotidiano interamente finanziato dai lavoratori. Si chiamava “il Lavoro”; e ne sarà direttore – tra gli altri – persino Sandro Pertini.
Ormai da tempo quel mondo è stato desertificato, le banchine brulicanti di presenze umane si sono trasformate nella solitudine lunare creata da rivoluzioni logistiche avviate dall’introduzione del container; formidabile innovazione che abbatteva tempi e costi dei trasporti e – al tempo stesso – piegava ogni resistenza operaia.
Cosa sia un bene e cosa un male ognuno può valutarlo in base ai personali convincimenti. Quanto su cui tutti potrebbero convenire è il significato epico e anche etico di una storia avvenuta al tempo in cui Genova era padrona del proprio destino.