L’Agenzia delle Entrate segnala in tutti i quartieri di Genova un crollo dei valori immobiliari che – rispetto al 2015 – si attesta tra il 10 e il 15 per cento.

Non c’è da stupirsi, visto che il processo di spopolamento urbano prosegue senza soluzione di continuità e ormai il numero degli abitanti nel capoluogo ligure è sceso sotto la fatidica soglia dei seicentomila; sicché il declassamento del patrimonio abitativo è strettamente connesso alla contrazione del dato demografico. Con il conseguente andamento economico in senso opposto di domanda e offerta.
Per inciso, tale trend assolutamente sfavorevole sconsiglierebbe l’ipotizzata messa sul mercato del patrimonio palaziale della Scuola Politecnica; con lo scopo di finanziare l’operazione Erzelli. Alla luce dei succitati andamenti, scelta destinata a tradursi in un’inevitabile svendita.
Ma non è questo l’aspetto più inquietante del dato in oggetto. Quanto dovrebbe colpire maggiormente classe dirigente locale e pubblica opinione è la marginalizzazione che investe il Ponente cittadino e la val Polcevera. Con effetti aggiuntivi di degrado della stessa vita civile. Anche perché la perdita di valore va a innestarsi su condizioni di partenza già penalizzate. Sperequate. Di cui le quotazioni degli appartamenti sono un numerario oggettivo:  un meno 10% a Castelletto vuol dire scendere da 400 a 360mila euro; a Rivarolo significa passare da 60mila a 54mila, al disotto del costo di costruzione.
Numeri dietro i quali – appunto – fa capolino l’inarrestato smottamento di interi quartieri verso la condizione degradata di semplici dormitori o – peggio ancora – contenitori del disagio, che si trasformano in “terra senza legge”; zone dove vigono il coprifuoco e le guerre tra bande. Fenomeno largamente indotto dalla deindustrializzazione di aree urbane un tempo fortemente connotate produttivamente; e ora afflitte – come dire? – da una totale perdita di “valore d’uso”.
Sicché il dato apparentemente di costume (o supposto congiunturale) della discesa dei prezzi delle case diventa il marchio lampante (e per ora indelebile) dell’impoverimento della città, in cui il lato sordido in espansione minaccia ormai da vicino gli antichi luoghi dell’opulenza. E che solo l’insipienza o il cinico intento di strumentalizzare può ridurre a problema di mero ordine pubblico. Quando si tratta di una questione eminentemente politica: definire un disegno che crei opportunità; dando prima di tutto valore alle persone che abitano l’intero spazio urbano, oggi privo di specializzazioni che lo qualifichino. Che tornino ad assegnare un senso e un significato di cittadinanza al risiedere.
Ci si chiede: non era previsto di parlarne in un annunciato momento di confronto autunnale, finalizzato a coinvolgere l’intera città nella progettazione di un futuro auspicato? L’appuntamento che già qualcuno aveva etichettato con il nome pomposo di “Stati Generali”. Ad oggi dati per dispersi.