Il recente rapporto di Prometeia sulle dinamiche del porto di Genova registra il dato secondo cui il 61 per cento del valore aggiunto che vi si crea dipende dalla filiera portuale propriamente detta,
mentre il restante 39 per cento dipenderebbe da altri settori. In effetti, quanto i ricercatori dell’istituto bolognese credono di avere scoperto non è altro che un aspetto della portualità già esplorato da tempo. Ossia, che a fianco di un “porto visibile” ne opera uno “invisibile”, risultato delle interdipendenze che si creano nella cosiddetta “economia del mare”.
Sicché, procedendo a una disaggregazione degli effetti portuali sulle attività indirette e sull’indotto, si ottiene il seguente quadro:
– La parte del leone veniva assunta dal settore manifatturiero, con il 30% dei posti di lavoro e il 36% delle retribuzioni. Si tratta ovviamente della cantieristica, ma è tutta l’industria dei mezzi di trasporto a essere coinvolta, così come la metallurgia e la metalmeccanica;
– Al secondo posto si piazzavano i Cruise Operator con il 17.5% di addetti ma solo l’11% di retribuzioni;
– Seguivano i servizi assicurativi, finanziari e business-oriented, con il 16 % degli addetti e il 20% della massa salariale;
– I trasporti e le utilities impiegavano il 12% dei lavoratori coinvolti e il 20% della massa salariale;
– Tra i comparti ancora interessati risultava il commercio, specie all’ingrosso (7% di addetti e solo il 2% al dettaglio) nonché l’ospitalità (5%, di cui i 2/3 negli hotel).
Per quanto riguarda il comparto crocieristico, ricorrenti analisi promosse da EBNT (Ente Bilaterale Nazionale del Turismo) evidenziano le seguenti interdipendenze positive:
– La cantieristica, per la produzione e la manutenzione delle unità di crociera;
– L’azienda portuale complessiva, intesa come l’infrastruttura di ricovero dell’imbarcazione, in grado di assicurarle tutte le operazioni necessarie;
– La gestione armatoriale delle attività connesse, nei vari aspetti aziendali di rilievo, dall’amministrazione all’operatività, al marketing fino alla vendita del prodotto;
– Gli acquisti e le varie spese in relazione alle attività portuali e ai rifornimenti necessari (della nave e dell’equipaggio, oltre che – ovviamente – dei passeggeri);
– Il turn-around degli equipaggi stessi;
– La vendita vera e propria del prodotto crocieristico, qualora affidato ad apposite strutture professionali;
– Le spese dirette dei crocieristi che rientrano nel pacchetto acquistato, variabili a seconda che comprendano o meno attività a terra opzionabili, come visite, escursioni, ecc.;
– Le spese extra dei crocieristi, sia in relazione al raggiungimento del porto di imbarco ed eventuali pernottamenti pre e post crociera, che alle relative spese a terra (shopping, ristorazione ecc.).
Le azioni di messa a frutto delle succitate interdipendenze richiedono una visione condivisa e un alto quanto generoso orientamento al partenariato, dunque una politica. Ossia quell’atteggiamento mentale che il preside della nostra Scuola Politecnica Aristide Massardo ci ricorda essere stato vivo e propulsivo nella città di Genova del passato; proprio in relazione a un’altra competenza eccellente che si ricollega al mare: l’insegnamento di ingegneria nautica e navale, varato nel 1871 come Regia Scuola Navale Superiore. In base a quanto venne ricordato da una monografia commemorativa del 2004, l’allora Scuola Navale genovese fu fondata «per iniziativa congiunta di eminenti cittadini, col sostegno anche finanziario di enti locali (Comune, Provincia, Camera di Commercio)».