La cabina del comando di Regione Liguria ha appena annunciato lo stanziamento di 30 milioni di euro per l’acquisto del palazzo-reggia in piazza De Ferrari, dove attualmente risiede in locazione.
“Più che un delitto, un errore” direbbe al riguardo Joseph Fouché, napoleonico ministro di polizia. Un errore che non molti sono in condizione di poter contestare credibilmente, anche dall’opposizione; visto che il trasferimento nella ex sede di Italia Navigazioni, voluto dal presidente di centrodestra Sergio Biasotti nell’ormai lontano 2003, fu immediatamente confermato (nonostante affermazioni in senso contrario espresse in campagna elettorale) dal subentrante Claudio Burlando, di centrosinistra, e ora ribadite dall’attuale inquilino, il centrodestra di ritorno Giovanni Toti. Il quale – tra l’altro – si è trovato in eredità un contratto d’affitto fino al 2020, stipulato dal Burlando poco prima di fare trasloco dalla carica regionale.
Resta il fatto che, mentre si procede a una scelta definibile di “consumo vistoso”, il contesto regionale economico e sociale mostra fenditure sempre più profonde in termini di crisi industriale e crollo occupazionale. Mentre la disperazione si diffonde in strati sempre più ampi di popolazione.
Sicché sembra proprio che, rintanato negli ambienti catafratti e lussuosi delle location istituzionali, il ceto politico abbia smarrito persino la percezione di quanto gli sta avvenendo attorno. Da qui scelte e comportamenti che si potrebbero definire “provocatori” se non fossero inconsapevolmente “irresponsabili”. Il tepore del potere e degli status protetti annebbia i sensi dei privilegiati rimpannucciati.
Verrebbe da chiedersi, fino a quando? In singolare simmetria con l’analoga domanda che un secolo fa si poneva Marcel Proust nel suo incessante vagabondare attorno alla propria classe nullafacente.
Ossia la percezione di vulnerabilità decadente che il romanziere, all’ombra delle sue fanciulle in fiore, ritraeva nel lusso dimostrativo della villeggiatura nel paesino immaginario di Balbec, sulla costa di Normandia (forse Cabourg); il ristorante del Grand Hotel: «le lampade elettriche, inondando di luce la grande sala da pranzo, la trasformavano in una sorta di immenso e meraviglioso acquario che chiamava la popolazione operaia di Balbec, i pescatori e anche le famiglie piccoloborghesi, invisibili nell’ombra, a schiacciarsi contro la sua parete di vetro per contemplare, lentamente ondeggiante in turbini d’oro, la vita lussuosa di quella gente, per i poveri non meno straordinaria di quella dei pesci e dei molluschi più strani (una grossa questione sociale: sapere se la parete di vetro proteggerà sempre il festino degli animali meravigliosi, se l’oscura folla che scruta avidamente nella notte non verrà a coglierli nel loro acquario e mangiarseli)».