In base alla missione di testata, l’orizzonte di Liguriaeconomy è solitamente quello d’area, al massimo regionale. D’altro canto un’elementare considerazione delle interdipendenze vigenti,
non può farci trascurare la stretta connessione che lega i destini delle comunità liguri agli andamenti nazionali (magari – e non di rado – anticipandone i trend economici in peggio). Soprattutto ora, in previsione dell’imminente documento economico chiamato Legge di Bilancio (Stabilità) 2017, destinato a fornire il quadro di riferimento in termini di compatibilità alle strategie di sviluppo anche locali.
Sicché inducono a scoramento gli elementi che emergono dal dibattito sulle previsioni per l’anno prossimo, in cui le valutazioni più ottimistiche dell’esecutivo Renzi (crescita più 1 per cento) vengono riviste al ribasso un po’ da tutti gli osservatori accreditati: dal meno 0,5 dell’ufficio studi di Confindustria al meno 0,9 del Fronte Monetario Internazionale.
Tale coro di smentite indurrebbe a pensare che il nostro governo abbia giocato con le cifre per tenerci buoni. Quasi fossimo tutti scolaretti da distrarre, mentre le stime del solito FMI parlano di un debito pubblico destinato a raggiungere quota 133,4 per cento e le strombazzate iniziative dei tagli “mirati” alla spesa pubblica improduttiva (spending review, of course; secondo l’anglo-managerialese biascicato, di moda in questi anni) sono un pallido ricordo; insieme ai nomi degli zar messi in pista per realizzarle e fatti scomparire non appena davano segno di prendersi sul serio.
Stando alla voce autorevole (e in passato assai filo-governativa) del Financial Times, questo dipenderebbe dal fatto che chi ci governa sarebbe in altre faccende affaccendato. Magari con l’occhio alla scadenza del 4 dicembre. Da qui il titolo ironico della testata economica londinese: “riforme costituzionali? Un ponte verso il nulla”. Un diversivo? Certo la conferma di quanto il gioco politico italiano sia molto più attento alla redistribuzione delle carte di potere che non ad affrontare i nodi reali dell’economia materiale.
Esattamente il contrario dell’ammonimento sotto forma di cartellonistica che Bill Clinton, al tempo della prima elezione a presidente degli Stati Uniti, aveva sparso nel suo seggio elettorale come memento per non perdersi in questioni inutili (sovrastrutturali?): “è l’economia, stupido!”.