Una star del giornalismo economico come il nostro concittadino Federico Rampini si chiede da Hangzhou, dove sta seguendo il G-20 cinese, se la globalizzazione non sia entrata

in una crisi “sistemica”; come darebbero da pensare le crescenti sofferenze nel Far East dei settori marittimo e siderurgico.
In effetti già da un po’ di tempo si sta parlando di una possibile “stagnazione secolare”, verso la quale sarebbe incamminata l’economia-mondo; o – ancora – la fine della fase di finanziarizzazione dell’economia. Ossia quello spostamento dell’accumulazione nella sfera virtuale (con dirottamento delle manifatture a Oriente, segnatamente la Cina trasformata nella grande officina del XXI secolo) avviato con la liberazione dei movimenti di capitale del 1993, con la prima presidenza di Bill Clinton. Fase entrata presumibilmente nella sua stagione terminale già con la crisi di Wall Street del settembre 2008. E che i più attenti economisti hanno interpretato come l’inevitabile ritorno all’economia reale.
Tutto questo mentre i reggitori europei e italiani della cosa pubblica restavano prigionieri di un’ottica focalizzata esclusivamente sul sistema bancario, inteso come la priorità assoluta per puntellare l’economia. A prescindere dallo sviluppo materiale.
Quel perdurare della presa egemonica da parte degli “gnomi del denaro” sulle istituzioni, che ignora la mutazione della finanza da servizio all’impresa industriale in centro di potere; prevalentemente politico. La chiave – tra l’altro – con cui si potrebbe “leggere” la situazione problematica della nostra Carige, per decenni più tavolo di negoziazione tra potentati locali che non leva di crescita dell’economia d’area, e comprendere le difficoltà incontrate dagli attuali risanatori.
Sicché la congiuntura che sta delineandosi impone di lasciar perdere ricette virtuali, per concentrarsi anche in Liguria sulla valorizzazione di quel che resta dell’economia reale. Magari andando a censire attività di nicchia che potrebbero essere aiutate a crescere. Magari – ancora – ridando dignità, agli occhi delle nuove generazioni, a quegli antichi mestieri di cui si è colpevolmente perso il ricordo. Ad esempio le capacità pregiate del tempo che fu (ad oggi richieste e ben remunerate) nell’ebanisteria al servizio della nautica o nel restauro del nostro impareggiabile patrimonio palaziale, lascito dei secoli d’oro.