Il bollettino meteorologico del lavoro ligure prevede in autunno tempo bruttissimo, con una particolare concentrazione nell’area tra Savona e Genova, ora che l’annuncio dei 147 esuberi
di Ericsson si aggiunge alle bufere e alle piogge acide di Bombardier, Piaggio Aerospace, Tirreno Power e Ilva. Per cui suscita più indignazione che meraviglia il politico di turno che si atteggia a grillo parlante di Pinocchio: “avete visto cosa succede quando i quartieri generali delle aziende sono lontani migliaia di chilometri dall’insediamento locale?”. Bravo lui, ma dov’era quando si facevano gli spezzatini aziendali o si cedevano storici marchi ad acquirenti arabi o scandinavi, che di tali storie industriali e relativi lasciti “non gliene poteva fregare di meno”. Interlocutori – questi arabo-scandinavi – acclamati in quanto apportatori di “pezze a freddo” in situazioni che né la politica né le business communities indigene avevano neppure una minima idea sul come affrontare.
Alla luce dei fatti dovrebbe essersi capito che la governance locale non può essere delegata a terzi senza scatenare le succitate bufere e piogge acide.
Ritorna così di moda un concetto elaborato dalla mente economica più elevata del XX secolo – John Maynard Keynes: la politica industriale, come scelta strategica della collettività, per orientare le risorse disponibili attraverso scelte di specializzazione competitiva dell’area. Insomma valorizzare, quello che sappiamo fare, vogliamo fare abbiamo i mezzi per fare. Ci dovrebbero guidare gli esempi delle più dinamiche città europee, che negli ultimi trent’anni hanno reagito alle gelate della de-industrializzazione proprio elaborando strategie di questo tipo.