La compagnia aerea Turkish Airlines, presente nell’aeroporto Cristoforo Colombo con il volo Genova – Istanbul, annuncia la prossima sospensione invernale del servizio,
prendendo atto che ad oggi i suoi aerei viaggiano a metà del carico. Poi nella prossima primavera si vedrà. Intanto – fino ad allora – lo scalo genovese andrà a perdere ben 15 mila passeggeri. Un’emorragia che va ad aggiungersi ad altre recenti.
La spiegazione più attendibile di questo disastro annunciato è fornita da Paolo Sirigu, direttore generale della società di gestione dello scalo: “se l’economia di territorio fosse più ricca avremmo mantenuto questi voli”.
In altre parole è la crisi generale dell’area a riverberarsi sul Colombo. Da cui si deduce che le soluzioni non consistono in palliativi ma nella capacità complessiva d’area di rilanciarsi. Una scelta che imporrebbe anche la necessità di una seria riflessione autocritica. Ed invece continua la ricerca di “soluzioni miracolistiche in una sola mossa”, come il solito mantra secondo cui la cura sarebbe privatizzare.
A parte il fatto che le più evolute culture di territorio contestano questa divisione manichea tra pubblico e privato, visto che le strategie di governance vincenti si basano su vaste coalizioni di attori locali con varia natura e provenienza, forse sarebbe necessario fare le pulci anche a questi luoghi comuni sul mito del privatismo. Alla luce delle esperienze di questi anni, in cui le privatizzazioni non hanno minimamente migliorato le aziende acquisite, trasformandole in spezzatini da rivendere o monopoli posizionali, in cui i profitti vengono ricavati da tariffe più elevate di quelle standard europee (come nel caso della telefonia mobile). Alla faccia dei clienti-consumatori.