Il fondo Mubadala degli Emirati Arabi ha appena emesso il suo diktat, che sancisce la sostituzione dell’amministratore Carlo Logli con Renato Vaghi alla guida di Piaggio Aerospace;
la storica azienda del settore avionico insediata a Sestri Ponente e Villanova d’Albenga. Il primo commento a caldo della decisione calata dall’alto – senza informazioni né confronti con chicchessia, fossero amministratori pubblici e rappresentanze dei lavoratori – è che diventano sempre più incerti gli orizzonti occupazionali del gruppo, oggetto di show down nel prossimo settembre.
Cosa ha in comune questa vicenda con quanto si apprende dalla Francia sul suo settore nautico, in cui la coreana STX ha deciso di punto in bianco la messa in vendita degli altrettanto storici cantieri di Saint-Lazare? E il punto è uno solo, ma decisivo: ormai entrambi i marchi prestigiosi si riferiscono a imprese “senza piedi” (foot-loose). Ossia la condizione tipica del post-industriale, in cui l’investimento economico atterra sui territori o vi decolla in base a pure convenienze congiunturali, senza il minimo interesse per quelle maestranze che su quei territori vivono e vi sono vincolate. Lo stesso dicasi per le comunità che tali intraprese alimentano.
Una posizione assoluta di forza da parte del comando manageriale che disarma le controparti e stronca ogni tentativo di metterne in discussione le decisioni.
Esempi su cui dovrebbero meditare gli ottimisti ad oltranza – che abbondano nella nostra classe politica – con i loro proclami “abbiamo salvato l’occupazione” ogni volta che ci è stato un passaggio di mano a gruppi finanziari nel controllo delle nostre fabbriche. Con il conseguente spostamento dei quartieri generali che non può non avere impatti sulle scelte gestionali e strategiche. Secondo la vecchia logica del “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Non sta succedendo un po’ la stessa cosa negli insediamenti italiani della FCA ex FIAT?