Mentre dilaga la polemica attorno al trasferimento sulla collina di Erzelli dell’azienda Liguria Digitale partecipata dall’Ente Regione (l’ipotetico conflitto di interessi, per cui l’Amministratore Delegato
di LD Marco Bucchi deterrebbe una quota minima di GHT, Genova Hi Tech, la società promotrice del sempre annunciato parco tecnologico collinare), sembra essersi perduta di vista una questione assai più significativa: l’affanno con cui si cerca di colmare i vuoti che continuano ad affliggere l’insediamento. Tanto che qualsiasi soluzione sembra andare bene; compreso lo spostamento nel grattacielo B di Erzelli (quello – per intenderci – che ospita già una Ericsson data in trasloco verso altri lidi), di 300 dei 411 dipendenti della softerhouse di Regione Liguria. In ogni caso, un’azienda già presente su piazza e che non apporta nulla di nuovo con il suo trasloco; sia dal punto di vista occupazionale che di valorizzazione del tessuto industriale. Sempre nell’attesa che altre realtà locali si spostino lassù, nella logica borbonica del “facite ammuina”. Per produrre il necessario “effetto riempimento” dello spazio invenduto; quale salvataggio d’immagine (se non di sostanza) del Progetto di “Silicon Valley al basilico”, che si trascina ormai da tempo immemorabile.
Qualcuno potrebbe scorgere nella vicenda attuale qualche somiglianza con un’altra fantasmagoria genovese di due decadi fa; all’insegna delle promesse mirabolanti, poi risoltesi in meri aggiustaggi di ripiego. Ossia quanto avvenne all’inizio degli anni Novanta nella parte bassa del Polcevera: l’area di Campi, che per un secolo era stata sede della siderurgia di Stato e ora doveva trasformarsi in un fertile incubatore di nuova impresa nel settore tecnologico. La conclusione fu che, in assenza di queste fioriture del tutto ipotetiche, il prezioso spazio industriale venne riempito (per disperazione!) con le “Ikee”: gli iper-luoghi del consumo, tra l’altro a basso livello occupazionale. Altro che le annunciate Terze Ondate industriali!