Mentre la psicosi da isolamento riduce la crisi genovese a un semplice problema di collegamenti, resta sempre aperto il nodo dell’aeroporto Cristoforo Colombo; 

e della sua (inesistente) spinta propulsiva. Nella totale sottovalutazione del detto evangelico “aiutati che il ciel ti aiuta”.
Ora ci spiegano che la compagnia iberica Volotea farà scalo dalle nostre parti con qualche voletto settimanale, mentre continuano le docce scozzesi di Ryanair, che un giorno sembra voler aumentare propria presenza dietro la Lanterna e l’altro ridurla. Quest’ultima scelta sembrava l’orientamento prevalente nella compagnia low cost a inizio anno, quando il governo stabilì l’aumento delle tasse aeroportuali. Decisione ora rimangiata dalla compagine governativa. Un provvedimento che – secondo Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio Nazionale Liberalizzazioni e Trasporti – assommato “alla modifica delle linee guida aeroportuali del ministro Graziano Delrio, sono certamente le due scelte che hanno permesso di accelerare i piani di sviluppo di Ryanair, per il mercato italiano nel 2017. Ma hanno di fatto spostato i costi dal mercato (i passeggeri) allo Stato. La cancellazione dell’aumento della tassa, che torna a 6,5 euro a viaggiatore, sarà infatti coperta nella legge di Stabilità e costerà 180 milioni su base annua. E quindi su tutti gli italiani; anche su coloro che non prendono l’aereo. Non solo, il previsto incremento di passeggeri derivante dall’apertura di 44 nuove rotte nazionali, avrà un costo minimo di co-marketing di 15 milioni annui per le gestioni (per lo più pubbliche di enti locali) degli aeroporti minori. Gli investimenti di Ryanair costeranno dunque alla mano pubblica 195 milioni l’anno”.
A questo punto ci si chiede: dopo mezzo secolo di sovvenzioni all’Alitalia (e anche alla luce degli esiti che ne sono derivati) si ritiene di ripetere la stessa solfa pure con gli irlandesi?