“Genova è una città che accusa gravi problemi economici, una città che ha perso oltre 200mila abitanti in 40 anni. Ma la speranza nel futuro c’è. Sta nel turismo, nella cultura, nello shipping.
Soprattutto nelle nuove conoscenze dell’Iit, applicate alla salute. Ma c’è una pre-condizione per risorgere, che finalmente siano realizzati i collegamenti”. Queste le parole di Paolo Odone, presidente della Camera di Commercio di Genova, intervistato da Luigi Pastore. A conferma della tesi di una città a “vocazione polimorfica” (allora la triade era “industria-porto-terziario avanzato”) propugnata già da Stefano Zara quando era vice del presidente Riccardo Garrone, in quella che allora si chiamava Associazione Industriali.
Su questa impostazione tradizionale Odone innesta l’istanza di un effettivo potenziamento dei collegamenti regionali con il resto d’Italia, invitando la politica locale a farsi valere a Roma con maggiore efficacia. Un tema che sta diventando anch’esso ricorrente nella business community: “stappate” il territorio e poi vedrete apparire meraviglie in materia di ripresa dello sviluppo; dai nostri porti come da quell’Istituto Italiano di Tecnologie che le promette almeno da un decennio.
Insomma, la chiave di volta sta in un intervento esterno di sblocco.
Ma è proprio così? A Odone, che sappiamo innamorato della cultura francese, vorremmo regalare uno spunto di meditazione che porta la firma di uno dei più grandi intellettuali dell’Ottocento: Alexis de Tocqueville.
Scrive l’autore de La Democrazia in America: quando una comunità rurale della Francia profonda ha bisogno di una scuola, si riunisce in assemblea e invia una petizione a Parigi. Quando i coloni del New England capiscono che i loro figli hanno bisogno di una scuola, si riuniscono in assemblea e si dividono i compiti per realizzarla, quella scuola.