La Riforma dei porti sulle attuali 24 Autorità Portuali non ha davvero pace. Da tempo si parla, infatti, di una bocciatura per motivi, addirittura, incostituzionali. Quindi, non si capisce ancora

se i 24 enti diventeranno 15, 12, un altro numero o resteranno sempre 24.
Per mettere fuori uso il motore della riforma della portualità basterebbe lo “zucchero” degli scontri striscianti all’interno del governo fra il premier Renzi e il ministro Delrio (e il mugugno, forse un po’ meno strisciante, che sembra arrivare dal quartier generale di Assoporti, l’organizzazione che raggruppa le Autorità Portuali).  Adesso arriva qualcosa che equivale a una bomba dentro gli ingranaggi di una situazione già di per sé alquanto complicata: stiamo parlando della sentenza con cui la Corte Costituzionale (presidente Alessandro Criscuolo, relatore Giuseppe Frigo), con una decisione del 17 novembre scorso appena pubblicata, impallina il cosiddetto decreto “Sblocca Italia” al primo comma dell’articolo 29. Dichiarato “costituzionalmente illegittimo” là dove “non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica, da essa disciplinato, sia adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni”.
Ma qual è il motivo della bocciatura?  Il motivo? La riforma del titolo quinto della Costituzione, messa in campo nel 2001 dal centrosinistra, aveva inserito “porti e aeroporti civili” fra i campi di intervento in cui Stato e Regioni devono decidere. La Corte Costituzionale ha messo ko l’idea del governo di farcela da solo a cambiare le regole della portualità saltando il rapporto con le istituzioni regionali. Anzi, quasi azzerandone i poteri se è vero che, ad esempio, per la nomina del presidente è previsto che il ministro non debba più concordare il nome con il governatore ma possa limitarsi a “sentirlo”. (articolo tratto in parte da “Il Tirreno” di Livorno)