Il solo nome lascia ben sperare. Anche perchè la situazione degli scali italiani è paralizzata dopo le tre proposte con tanto di bozze sulla riforma delle 24 Autorità Portuali italiane

che ha prodotto come primo effetto l’uscita di Genova e Ravenna da Assoporti, l’associazione di categoria che ne raggruppava tutte.
Si chiama “Sblocca porti” perché è all’interno di un decalogo di cose tutte da sbloccare. E se l’obiettivo venisse realmente centrato dal Governo di Renzi (accusato di tante chiacchiere, ma pochi fatti, eccezion fatta gli 80 euro al mese in busta paga in più) in ogni singolo aspetto, allora verrebbe davvero sbloccata l’intera Italia. Ma per ora, alla voce “economia del mare”, siamo fermi ai pronunciamenti di buone intenzioni. L’idea di ricorrere a un decreto per affrontare la riforma della portualità era coltivata soprattutto dal ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi. Ma vista l’aria di tempesta che si è messa a spirare negli ultimi giorni, con la prospettiva di un agosto a tutta bonaccia e un settembre di conversione in legge a rischio imboscate, il governo ha preferito fermarsi alle linee-guida. Se ne riparlerà comunque a fine agosto quando, forse, il governo potrebbe riaccarezzare l’idea del decreto legge.
Una sola l’idea di fondi dello “Sblocca Porti”: 24 Autorità sono troppe, costano una infinità, occorrono meno maxi scali, ma tutti altamente competitivi sul mercato globale.