Rivali per cinque secoli abbondanti sui mari, le vecchie Repubbliche Marinare di Genova e Venezia rischiano di coalizzarsi contro la riforma dei porti voluta fortissimamente
dal ministro del governo di Matteo Renzi, e prima quello di Enrico Letta, Maurizio Lupi, esponente di spicco del Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Nella proposta di riordino della legislazione portuale scritta dalla segreteria di Lupi, era previsto che le attuali 24 Autorità Portuali lasciassero il posto a nove distretti logistici: Alto Tirreno, Medio Tirreno, Basso Tirreno, Alto Adriatico, Medio Adriatico, Basso Adriatico-Ionico, Sicilia e Sardegna. Ogni distretto logistico sarebbe stata sotto il controllo di un’Autorità Portuale e Logistica di interesse strategico.
A pensarla come Luigi Merlo c’è anche Paolo Costa, presidente dell’Autorità Portuale di Venezia, il cui ragionamento è racchiuso nella seguente domanda: “I porti italiani in futuro vogliono giocare a livello continentale un ruolo da protagonisti o ci accontentiamo di figurare come dei comprimari?”. Secondo Costa, per attirare ad esempio in Adriatico i traffici container dell’alleanza P3 Network (Maersk, Msc e Cma Cgm) servono poche cose essenziali: “Un’offerta portuale da 5-8 milioni di teu, accessibilità nautica, ampi spazi a terra e una ferrovia funzionante”. A quasi tutti le Autorità Portuali italiane evidentemente interessa mantenere lo status quo.