Il dibattito attorno alla sorte dei 35 dipendenti del Carlo Felice a forte rischio licenziamento si fa sempre più serrato. E sarebbe un grave errore isolare la situazione
del Teatro dell’Opera perché, contrariamente a una vulgata che tende a vedere orchestrali e amministrativi del Carlo Felice come una sorta di casta, anche qui si sta parlando di lavoratori che si battono per conservare il loro posto. I lavoratori vedono nel ministro Bray l’unica personalità in grado di salvare la propria occupazione, ma proprio negli ultimi giorni tra i palazzi romani si è sparsa la voce che vuole il Ministro sul baratro, pronto ad essere sacrificato in caso di un Letta Bis, osteggiato comunque da Matteo Renzi.
Per questo spaventa l’ipotesi di “spostare” 35 dipendenti dal teatro alla società in house del ministero, l’Alec. Sopratutto perchè a Genova non sembra avere strutture in grado di assorbire le eventuali “eccedenze”. Secondo, perché i contratti di Alec sono a tempo determinato e quindi rischiano di trasformare i lavoratori coinvolti da dipendenti a tempo indeterminato a precari. Solo una reale trattativa fra le parti (non certo le schermaglie di queste settimane) potrà entrare nel merito dei conti e quindi dei reali esuberi del teatro, alla luce della nuova legge “Valore Cultura”. Ma sta di fatto che il problema occupazionale resta.