L’economia statunitense riprende quota e i porti italiani stanno alla finestra, in attesa di una mossa univoca e decisa. Il sistema portuale nostrano cerca di correre ai ripari dinanzi a uno scenario

internazionale sempre più competitivo. Con 800 mila addetti diretti e indiretti, 211 mila imprese e 41 miliardi di valore aggiunto all’economia, il comparto nazionale del mare deve affrontare nuove sfide in un contesto in rapida evoluzione, che sta spostando il suo baricentro nell’Oceano Pacifico. Il paradosso è che i porti di riferimento nel vecchio continente per i container che provengono dall’Asia si trovano nel Nord Europa, perché sono meglio attrezzati e perché in queste realtà i costi sono più bassi. Le navi così passano davanti alle nostre coste senza fermarsi. E non è tutto poichè, in prospettiva, il pericolo è che la stessa Europa rimanga ai margini dei traffici internazionali. La portualità americana è oggi meno attrezzata di quella europea. Se la Cina decidesse però di privilegiare le relazioni commerciali con il mercato statunitense, non esiterebbe ad investire in infrastrutture. Le priorità geopolitiche si sposterebbero così definitivamente nel Pacifico.