Nel mitico settimanale il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, Ernesto Rossi teneva una rubrica che già dal titolo era tutta un programma: “Scandalusia”.

Mai come ora ci manca quella penna dolente e ribelle, quel modo critico e rigoroso di fare opinione.
A quanto è dato di sapere, ora le indagini della magistratura e i relativi arresti – scoperchiando la sentina affaristico-malavitosa sottostante alla realizzazione del Terzo Valico – hanno finalmente mostrato in piena luce chi fossero davvero i primi sponsor dell’opera. Per cui sarebbe auspicabile che chi finora ha suonato senza il benché minimo tentennamento la grancassa dell’inevitabilità di tale infrastruttura, proclamata vitale e risolutiva per una Genova in asfissia, iniziasse a produrre più meditati commenti al riguardo.
La magistratura proseguirà nella sua opera investigativa su malefatte, crimini o altre inconfessabilità. A ennesimo smascheramento della ragione, ormai confermata da millanta episodi, per cui in Italia ogni opera pubblica costa due o tre volte di più rispetto a qualsiasi altra nazione europea. Intanto possiamo sgombrare il campo da un repertorio argomentativo – tra l’ingenuo e il superficiale, o peggio – dietro cui i signori dell’appalto potevano celare i loro interessi reali e le loro pratiche bieche. A partire dall’indispensabile inversione dei termini nella faccenda della “Genova isolata dal resto del mondo”. L’impostazione sensata non è “colleghiamo Genova e poi il rilancio sarà automatico”; bensì “rilanciamo la città (rendendola sempre più attraente, sia dal punto di vista produttivo che turistico) e l’interesse degli altri a collegarsi diverrà conseguente”. Insomma, siamo noi a dover fare il primo passo, accantonando pretese di manne dal cielo o miracolismi vari.
Andiamo avanti: “la logistica marittima ha bisogno di grandi opere”: tesi novecentesca e primo-industriale, quando gli andamenti economici tendevano a essere lineari. Nell’epoca della discontinuità, quando nessuno è in grado di prevedere dove saremo finiti da qui a cinque anni (vedi – ad esempio – il taglio ai flussi esportativi dal Far East), diventano molto più ragionevoli interventi minori ma di impatto immediato. Intanto sembra davvero derisoria la profezia che con il Terzo Valico funzionante faremo incetta di traffici europei, quando il flusso sembra andare in senso esattamente inverso. Visto che i trafori del Gottardo e del Lötschberg attraggono merci dalla Lombardia verso Rotterdam e i porti atlantici, ben più che dall’Europa continentale verso la Liguria.
Ancora: “la portualità ligure deve seguire l’esempio di Trieste e aprirsi ai mercati esteri”. Come e per quale scopo? I mitici cinque milioni di container, di cui bisognerebbe che qualcuno ci spiegasse la desiderabilità? Accertato che ormai i nostri sono porti eminentemente regionali, forse andrebbe dibattuto che tipo di specializzazione, con relativa destinazione degli spazi, potrebbe assicurare qualche carta in più da giocare per la nostra economia del mare non brillantissima. Di cui vedremo meglio il profilo e relativi punti di debolezza una volta sgombrato il campo da tanta retorica diversiva.