Dal 27 ottobre al 6 novembre riparte a Genova l’ormai classico appuntamento con la scienza. Il Festival creato dalla passione di Manuela Arata e dalla competenza di Vittorio Bo,
ora defenestrati per far spazio alla nuova gestione presieduta dal professor Marco Pallavicini.
Il programma annuncia 134 incontri, 86 laboratori e 69 luoghi, il tutto unificato dalla parola-chiave “segni” (in apparenza più attinente a una scienza dell’uomo quale la semiologia che a effettive scienze della natura, come fisica, chimica o astronomia).
Staremo a vedere, augurando – comunque – il massimo successo possibile; visto che l’evento è ormai da quasi tre lustri un must dell’autunno genovese; e nella sua ultima edizione – quella del 2015 – aveva attirato ben 180mila visitatori. Anche perché si giovava delle entrature nell’ambiente scientifico internazionale di Bo, uno dei più importanti editori italiani di letteratura scientifica. Sicché suscita una qualche perplessità preventiva, in questa nuova stagione (forse affetta da un briciolo di complesso d’Edipo) scelte più da star system (che non “segni” improntati al rigore) quali quella di coinvolgere un simpatico ma alquanto usurato personaggio televisivo come Piero Angela.
Comunque, stando alle informazioni correnti, si farebbe sentire in maniera massiccia la presenza ormai ubiqua dell’Istituto Italiano di Tecnologie e del suo direttore scientifico Roberto Cingolani; ormai il vero prezzemolo della vita pubblica genovese, in attesa di spiccare il volo verso le più ampie praterie milanesi. Infatti – stando ad attendibili “si dice” – Cingolani precisò – in piena bagarre per la defenestrazione dei fondatori – che entrava nella nuova compagine post Arata e Bo solo essendogli garantita una posizione decisionale.
Il mix di attitudini autopromozionali e illusionismo stupefacente che costituisce la griffe del noto Istituto, impegnato tra l’altro a certificare la caratura scientifica dell’operazione immobiliare ad Erzelli, suscita qualche perplessità sul mantenimento dell’alto livello che caratterizzava il Festival. Dubbio corroborato dai dichiarati tagli a quelli che costituivano il suo must distintivo: gli incontri.
Un “segno” di scivolamento nel provincialismo?