Recenti contributi hanno importato in questo sito un dibattito decisivo, che impegna dalla fine degli anni Ottanta le più creative città d’Europa sul come affrontare la crisi
di de-industrializzazione: il tema della programmazione strategica a scartamento urbano. Una policy che non va confusa con la vecchia pianificazione burocratica degli anni 60/70, impostasi dopo i disastri prodotti dalle deregulation ideologiche degli anni 80 e che mixa in maniera originale criteri di organizzazione aziendale (uno dei primi esempi – il Piano di Los Angeles del 1984 – venne definito “un patto tra municipalità e business community) con processi politici. Potremmo definirlo una sintesi tra “lo spiritoToyota” dell’impresa guidata dai valori, attraverso Mission e Vision, e l’agire comunicativo di una democrazia deliberativa. Probabilmente il meglio del pensiero elaborato alla fine del secolo scorso.
La programmazione strategica organizza coalizioni civiche per mettere a fattor comune le risorse disponibili e raggiungere – così – obiettivi condivisi. Operazione coronata dal successo, dopo il primo esperimento-campione di Barcellona (1988), a Lione e Stoccarda, Londra e Lisbona, oltre che in una cinquantina di eurocities.
L’Italia purtroppo latita; a parte il caso virtuoso di Torino – tra il 1998 e il 2000 – uscita proprio grazie a queste metodologie dalla “prima crisi FIAT” creando i distretti dell’automotive e del wireless, promuovendosi intelligentemente con un’agenzia di marketing territoriale guidata da un vasto partenariato d’area. Per il resto tutto tace, nel fu Bel Paese. Probabilmente per carenze di leadership visionarie, cui si accompagna un grave ritardo nella cultura amministrativa di sistema, che vede la totale prevalenza dei criteri formali (gli adempimenti) su quelli sostanziali (il problem solving). Ma c’è un nuovo elemento che va imponendosi, a ulteriore scapito degli approcci alle crisi urbane di stampo europeo/internazionale: dopo anni di retorica centrata sul binomio decentramento-autonomia, ora nello spirito dominante del tempo va imponendosi il suo contrario: il criterio decisionistico, con il conseguente mito dell’uomo solo al comando. Criterio terribilmente ingenuo e pernicioso, seppure in linea con quel semplificazionismo che tanto piace ai comunicatori: in una società complessa “nessuno sa tutto e tutti sanno qualcosa”.
Come insegnava l’inventore del modo di produrre Toyota – l’ingegner Taiichi Ohno – solo vaste coalizioni cementate dal comune sentire possono affrontare con successo le sfide di un mondo in costante trasformazione. Anche se – magari – questo confligge con l’individualismo tenace, tipico del modo d’essere ligure.