Brutalmente: il primo contributo costruttivo che l’Università genovese potrebbe fornire alla competitività del territorio che la ospita è quello di attirarvi “forestieri”.
Operazione ancora tutta da realizzare, perché non deve illudere, inducendo a trionfalismi, il dato sulla percentuale di studenti stranieri che studiano a Genova. Stando ai dati dell’anno accademico 2012/2013: l’8,7% degli iscritti complessivi, che farebbe del nostro ateneo il primo nella classifica nazionale per attrattività. Invece l’analisi della composizione per nazionalità parla di albanesi al 15,9%, cinesi 14,6%, ecuadoriani 9,7%, spagnoli 6,2%. Insomma, non ci vuole molto per capire che l’internazionalizzazione, esibita come “fiore all’occhiello”, sinora è soprattutto l’ingresso nel circuito universitario degli immigrati di seconda/terza generazione. “Diversamente italiani”, più che veri stranieri; comunque iscritti per ragioni di pura e semplice contiguità/economicità.
Ulteriore conferma di una situazione estremamente statica (la solita gestione passiva della rendita come genius loci) ci viene fornita dagli aspetti più squisitamente quantitativi: a oggi il dato genovese – 32.000 studenti universitari su 608.000 abitanti, con una percentuale del 1/19 – non è neppure comparabile con quelli di antichi poli studenteschi quali Pisa, Pavia, Padova e Bologna (da 1/1 a 1/4). Ma come spiegare l’abisso che separa Genova da città magari dotate di più atenei – pubblici e/o privati – come Milano, Firenze o Torino (tutte al 1/7)?
Sedi molto più attrattive per la didattica eppure sovente assai molto meno friendly da tutti gli altri punti di vista, compresi clima e qualità della vita?
Ci sono evidentemente dei gravi ritardi, come possibili margini di crescita non riscontrabili altrove. Tutti aspetti di vivo interesse per la stessa comunità locale, se solo si riflette sulle ricadute economiche che comporterebbe la trasformazione di Genova in città effettivamente universitaria; come auspicato nel programma del nuovo rettore, Paolo Comanducci. Ma di cui non si vedono ancora tracce sul piano realizzativo.
Difatti è stato calcolato in 14mila euro a studente l’impatto delle università milanesi sull’economia locale. Nel caso di Genova, l’indotto sarebbe proporzionalmente poco meno di un mezzo miliardo di euro l’anno; che comunque, con un minimo di spirito imprenditoriale (tutto da dimostrare, ovviamente), potrebbe arrivare senza troppa fatica a raddoppiare.
Ciò detto, resta comunque una pregiudiziale riguardo alle modalità/condizioni grazie alle quali l’Università può sul serio rivelarsi risorsa del nostro territorio: anzitutto aprendosi e riguadagnando posizioni nei ranking internazionali.
Come – peraltro – il complesso dell’intera Università italiana; rispetto alla quale l’Ateneo genovese non è poi messo così male.