“Le botteghe storiche come i rolli del commercio”. In sintesi la ricetta di Alessandro Cavo, il giovane presidente di FEPAG (l’associazione dei pubblici esercizi aderenti ad ASCOM),
impegnato per consolidare la recente vocazione turistica genovese. Un cambiamento significativo iniziato timidamente dalle Colombiadi, con la creazione di due straordinari contenitori quali il Porto Antico e l’Acquario e il restauro di Palazzo Ducale, poi proseguito con la preparazione del (pur tragico) G-8 del 2001 e – ancora – con la designazione di Genova “capitale europea della cultura” nel 2004. Da qui è partita una crescita costante del numero dei visitatori, che nel 2015 diventava esponenziale. Confermata anche dai dati del primo trimestre 2016.
Ma se il trend è positivo, per consolidarlo occorre innestarvi una strategia, che secondo Cavo ha da essere a due facce, una realistica e l’altra visionaria.
Il lato realistico dice che Genova non potrà mai essere città da grandi numeri dell’accoglienza, come una Firenze o una Venezia. Quello visionario immagina ragioni innovative per attrarre il proprio pubblico, offrendogli qualcosa di ormai introvabile altrove. E questo elemento vincente è – secondo Cavo – la genuinità, la capacità di offrire emozioni che nascono dallo charme di un mondo sopravvissuto alla banalizzazione dello standard. Se la Genova palaziale, dal centro storico più grande d’Europa alle magioni dei banchieri dell’impero spagnolo nella via dell’oro (Strada Nuova, ora via Garibaldi), mantiene una straordinaria potenzialità evocativa, le “botteghe storiche”, che si stanno via, via censendo e portando “a sistema”, introiettano il lascito di un’antica civiltà urbana. La cui scoperta è carica di fascino e di potenzialità fidelizzanti per un turismo in fuga dall’artefatto; conseguente all’attuale mcdonaldizzazione dell’ambiente urbano.
Una ricetta che sembrerebbe funzionare, a dimostrazione che lo spirito d’impresa ancora cova sotto le ceneri genovesi.