Dal MIT, il ministero italiano dei trasporti, trabocca un entusiasmo incontenibile; come evidenzia la nota trionfalistica che anticipa la relazione tecnica allegata al decreto di riforma dei porti:
la mossa di ridurre le Autorità da 24 a 15 comporterebbe un risparmio di 2,33 milioni di euro, derivato dalla cancellazione degli emolumenti dei rispettivi presidenti e segretari generali. Tanto da farci domandare la ragione del perché tale decimazione non venga portata avanti con ancora maggiore determinazione. Timidezza? Titubanza?
Immaginate quali vantaggi di cassa, dopo le falcidie di forestali, Camere di commercio, patronati e (presto) senatori, oltre che di sette team portuali sette, si potrebbero ottenere andando più a fondo; magari eliminando magistrati impiccioni, controllori ferroviari molesti, pedantesche soprintendenze ai beni culturali e – al limite – quei semafori che rallentano il traffico e costano in manutenzione.
Siamo alla realizzazione del sogno ottocentesco dell’Economista ginevrino Simonde de Sismondi: “in verità non resta da desiderare altro se non che il re, rimasto solo nell’isola, girando continuamente una manovella, faccia eseguire per mezzo di congegni meccanici tutto il lavoro dell’Inghilterra”.
Lungimirante visione, che tuttavia presenta un piccolo difetto: non tener conto di quanto i nostri vecchi camalli sapevano benissimo, riferendosi alla merce con l’appellativo di “regina”. Ossia che è lei la signora dei traffici e delle destinazioni, a prescindere da quanto possono decidere i consulenti all’orecchio del ministro, improvvisati efficientatori della portualità; intenti a risparmiare tagliando a casaccio e a presumere di mettere a piacimento le braghe ai flussi. Fin quando non ci si renderà conto che forse il primo risparmio poteva essere il taglio delle consulenze astrattiste.