Due addii dolorosi, i primi, quelli registrati da Assoporti. Ma, se la situazione non si sblocca a breve, la sensazione è che altri 6 o 7 porti italiani potrebbero lasciare l’associazione di categoria

dei porti italiani, in mano al riconfermato Pasqualino Monti, vicino al Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, ma un tempo di Forza Italia.
Palazzo San Giorgio era da tempo entrata in rotta di collisione con le scelte di Assoporti, ma la decisione di Ravenna è stata sorprendente. E a fare compagnia a Genova c’è appunto il porto romagnolo, il cui presidente, Galliano Di Marco, aveva già maturato un’analoga decisione. Lo scalo ligure era nell’associazione dal 1973, tempo in cui era governato dal Consorzio autonomo, perché le Autorità portuali erano ancora lungi da venire. 
Genova e Ravenna da venerdì sono formalmente fuori dall’associazione degli enti portuali, ieri riunita in assemblea sotto il rinnovato mandato di Pasqualino Monti, presidente di Civitavecchia eletto la scorsa settimana “all’unanimità dei presenti”, che secondo fonti poco benevole ammontavano a 16 su 24 aventi diritto, e tra questi quattro alla guida di enti commissariati e tre presidenti di Authority a fine mandato.
Non rinnovando l’iscrizione, Genova il prossimo anno risparmierà 111 mila euro. La sostanza della critica del numero uno dell’Authority, Luigi Merlo, è piuttosto semplice: la politica attendista dell’associazione – che di fatto ha rimesso la questione della riforma portuale tutta in mano alla politica – col compromesso fra Maurizio Lupi (ministro dei Trasporti, Ncd), Deborah Serracchiani (responsabile porti del Pd) e Marco Filippi (senatore Pd e relatore del ddl di riforma in Parlamento) – condannerà i porti al suicidio